Ho visto quel paesaggio surreale su cui si fondano le vite della mia gente.
L’ho visto e mi sono lasciato perdere, dalle stanchezze di voi e dei vostri vuoti governativi.
Combinazione mi trovo a spingere su questi mucchi di stoffa, mentre appoggio le mi ambiziose membra sul corpo di chi ascolta.
Hai visto? C’è un pallido sole questa mattina e noi siamo qui, seduti in cucina a pensare che forse avremmo il tempo di organizzare un passatempo.
Ma il tempo passa anche da solo, passa e scambia i livelli come fosse un ferroviere arrugginito, come il vento che quella sera mi ha colto mentre attraversavo il ponte con l’ombrello che s’incurvava… e una pianta in vaso stretta sotto al braccio.
E c’è questa questa cosa che non c’è modo di apprezzare ciò che verrà domani. Orrore. E errore più grande che è quello di sembrare smarriti di fronte all’inconsueto, anche quando un minuto è sufficiente a farci capire che il futuro è futuro anche tra un minuto.
Decido io. No, decidi tu: Il motore visuale stasera non s’accende perché ho già fatto il miglior programma possibile. Mescolo un po’ di ardesia con il fustagno, aziono le tavolette meccaniche e spalanco la finestra per respirare.
Una capsula di riso rosso, una capsula spaziale, una capsula nel vento, nel ventre, nel ventesimo secolo con… quella immagine che si dissolve come il vapore su un tegame.
Ho visto. Le combinazioni previste sono state disattese, il tempo ha dato ragione a me e a ha dato senso a te, ha lasciato che se ne scombinassero i valori, che tu arrivassi a casa mia, che io piombassi nella tua e di corsa ne comprendessimo il gusto, il diletto.
Il diletto interessato non s’accorge che il colore regge, che la vernice è indelebile e affidabile. Come il Colorado.
Mi sembra di sentire la sua ansia spingerle sul giudizio, malinconico e universale, per accanirsi sul nulla. Svanisce.
Pace, rumore e fragranze.
Il suono che sento nel mio petto, è lo stesso che rimbomba in quello tuo.
Ancora.
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